Quando Stanley concludeva un film lasciava dietro di sé qualche tonnellata di roba da far entrare in casa: fotografie, costumi, documenti, tappeti, mobili, lampadine, televisori, cavi elettrici… Non buttava mai niente. Anche se non sapeva se qualcosa sarebbe tornata utile preferiva comunque conservarla «Perché non si sa mai.»

L’unica cosa che era certo di buttar via era la pellicola che non aveva usato nel montaggio finale dei suoi film. Scoprii questa sua abitudine quando concluse il lavoro su Shining. Mi chiese semplicemente di portare un po’ di pizze di pellicola all’inceneritore e di farmi aiutare da Martin Hunter se ne avessi avuto bisogno. Capii il senso di questo consiglio quando mi trovai di fronte dozzine di pizze. Furono necessari tre carichi pieni di furgone per portar via tutta la pellicola.

Usciti dalla città ci orientammo verso l’inceneritore seguendo una colonna di fumo nerastro che saliva verso il cielo. Quando posteggiammo il furgone, l’aria già vibrava di un ruggito basso e profondo. Mi avvicinai all’edificio incuriosito. Il rombo cresceva. Arrivai alla bocca dell’inceneritore, mi sporsi e vidi un lungo scivolo dalle pareti annerite che scendeva per metri e metri verso il basso fino a scomparire in un vortice di luce bianca accecante. Le fiamme ululavano dal basso e un getto di aria calda mi arrivava sulla faccia. Dio mio, pensai, la bocca dell’Inferno.

Fu lì dentro che finirono Jack, Wendy, Danny, Halloran e i fantasmi dell’Overlook Hotel, lanciati da Martin una pizza alla volta.

Sette anni dopo l’inferno era sempre lì, pronto a inghiottire le parolacce di Lee Ermey.