Stanley teneva nel suo appartamento al secondo piano di Childwickbury ventiquattro scatolette di cibo per gatti, come scorta da dare a Polly per variare la sua dieta. Ogni tanto, abbinava al cibo per gatti delle fette di pane bianco o integrale, inzuppate nel latte.
Pensavo che a Polly le scatolette e le fette di pane piacessero perfino più del pesce che cucinavo per lei nella Pet Kitchen, perché trovavo il suo piattino sempre perfettamente pulito, senza avanzi.
Alla fine di una settimana di pioggia ininterrotta salii sul tetto di Childwickbury per liberare le grondaie otturate dalle foglie secche portate dal vento. Allungando le dita nei fori di scolo mi accorsi però che non c’erano foglie ma una poltiglia marrone in cui riconobbi fette di pane e pezzi di cibo per gatti.
«Stanley, per curiosità, cosa fai con le scatolette e il pane di Polly?»
«Nulla,» mi rispose evasivo.
«Dico con gli avanzi…»
«Oh, gli avanzi… Li butto fuori. Sai, per gli uccelli.»
Erano settimane che Stanley svuotava il piattino con gli avanzi di Polly dalla finestra del suo ufficio, facendoli finire sulla cupola della Dome Room. Gli storni in effetti avevano gradito: la maggior parte di loro si trascinava stanca lungo il giardino, grassi da non riuscire a spiccare il volo, incuranti perfino dei gatti. Anche i due stagni vicino la villa pullulavano di altri uccelli selvatici che si fermavano per una sosta: Childwickbury era diventato un ottimo motel lungo le loro rotte migratorie.
«Cosa mangiano sennò, poverini, avranno fame!» rispose Stanley ai miei rimproveri. Inutile spiegare che gli uccelli di campagna erano vissuti tranquilli e beati da milioni di anni senza l’aiuto di Stanley Kubrick.
Qualche giorno dopo trovai il modo di fregarlo, ventilando come sempre l’unica autorità degna di rispetto nel campo veterinario: «Sai, Stanley, ripensando agli uccelli, non credo che gli faccia bene il cibo per gatti…» Telefonò immediatamente a Cambridge trovando conferma di quanto avevo detto. Vittoria! Avanzi di Polly nel secchio della spazzatura.