Alla fine degli anni ottanta si presentò l’occasione di pubblicare un libro sui quadri di Christiane. Alcune delle sue tele erano state vendute, ma molte altre restavano appese in casa o immagazzinate nello Stable Block. Era giunto il momento di realizzare un catalogo completo delle sue opere.

Stanley aveva preso accordi con la Warner per la pubblicazione e la distribuzione del libro, mentre Christiane stava discutendo con la critica d’arte del Sunday Times su quali opere scegliere e cosa scrivere nell’introduzione. Martin Hunter aveva da poco lasciato Childwickbury per tornare a lavorare in America, perciò mancava il fotografo ufficiale di casa Kubrick.

«Emilio, pensi che tua figlia possa essere interessata?»

Marisa aveva iniziato ad appassionarsi alla fotografia da adolescente, grazie a un corso pomeridiano organizzato da una delle sue insegnanti. Quando aveva compiuto diciotto anni si era iscritta all’Ealing Technical College & School of Art, ma lo aveva abbandonato perché troppo tecnico per i suoi interessi: più che sapere come la fotografia si era evoluta nel corso dei secoli, Marisa voleva approfondire l’aspetto creativo che si cela dietro una foto perfettamente realizzata. All’inizio del 1984 era riuscita a farsi assumere come apprendista allo studio di Charles Green a Edgware, dove ebbe modo di affinare le sue abilità per «dipingere un ritratto illuminando il soggetto», come mi spiegava entusiasta. Green le permise anche di imparare molto sui bagni di sviluppo e su tutta la postproduzione: sporcarsi le mani e occuparsi di ogni fase del lavoro era ciò che Marisa aveva sempre desiderato fare. Nelle conversazioni che facevamo nel suo ufficio, Stanley mi domandava spesso dei progressi e dei risultati di Marisa, e io gli raccontavo che aveva deciso di mettersi in proprio come fotografa freelance, ottenendo numerosi incarichi dalla Cameo Photography e da Hills & Saunders, due dei migliori studi londinesi di ritrattistica. Per i tre anni in cui collaborò con loro, Marisa ebbe modo di fotografare membri della famiglia reale inglese, studenti della Eton School, ambasciatori e lord nelle loro proprietà di campagna. Nel 1989, quando riuscì a diventare membro del British Institute of Professional Photography, Marisa era la ragazza più giovane che avesse mai ottenuto quel titolo.

«Non lo so, prova a telefonarle» avevo risposto a Stanley.

«Ma come “perché sei preoccupata?” papà!» mi disse quella sera quando mi chiamò a casa per raccontarmi della proposta «mi ha chiesto di fare le foto per i quadri di sua moglie, non è il mio campo! Mi sono specializzata in ritratti, non so se sono in grado di farlo. E poi… e poi hai visto la fotografia di Barry Lyndon? Come posso essere all’altezza?» Marisa si era sempre rammaricata di non aver potuto osservare da vicino Stanley e John Alcott durante il lavoro su quel film: all’epoca aveva solo dieci anni. Barry Lyndon era l’unico film di Stanley che menzionava in continuazione: l’abilità di John Alcott nel dosare la luce e la composizione – gli elementi puri del mezzo fotografico – e il suo senso della storia l’avevano sempre profondamente commossa e lasciata senza fiato. «Ogni fotogramma di quel film è una fotografia perfetta, ineguagliabile» diceva sempre.

«Marisa, se non te la senti, rifiuta l’offerta, non è un problema» le dissi per tranquillizzarla.
«Ma io voglio scattare quelle foto!»
«Bene, allora sei pronta.»

Marisa si presentò a Childwickbury; Stanley la ragguagliò sul lavoro, le presentò la macchina Wista e poi l’accompagnò al piano di sopra, nel nuovo studio fotografico. Le opere di Christiane erano dipinti a olio, incisioni ad acquaforte e disegni a carboncino, quindi avrebbero richiesto tecniche differenti per un’accurata riproduzione del colore sulla pellicola fotografica.

Alla fine Marisa si fece coraggio e accettò l’incarico. Chiese a me di aiutarla a trasportare i quadri e al fidanzato di darle una mano con la Wista dal punto di vista tecnico. Passarono un paio di giorni a testare differenti tipi di pellicola, tempi di esposizione, metodi di illuminazione utilizzando le lampade Lowel di Stanley ammucchiate nei sotterranei di Childwickbury. Una volta fatte le prove per lo sviluppo, Marisa portò a termine il lavoro in meno di una settimana. Stanley e Christiane si complimentarono e spedirono il materiale alla Warner per la pubblicazione.

Nel 1990 Christiane Kubrick Paintings arrivò in libreria. «Emilio, vai a Londra e controlla che il libro sia messo bene sugli scaffali.» In perlustrazione a Foyles e Dillons trovavo sempre poche copie del catalogo, quasi mai in esposizione, e se chiedevo informazioni al commesso mi sentivo rispondere che le avevano esaurite in poco tempo. Quando tornai a Childwickbury e raccontai a Stanley delle ottime vendite prese subito il telefono in mano, senza nemmeno commentare. «Julian» esordì brusco «chiama quelli della Warner e digli di stampare altre copie del libro, a Londra sono già finite.» A volte appariva contento solo quando riusciva a risolvere un problema.