Quando penso a Emilio, una serie di immagini mi scorre davanti agli occhi in ordine sparso, non cronologico, ma costante è sempre il ricordo del suo sorriso. Un sorriso innocente, dolce, che si allargava e gli riempiva il viso, mentre con gli occhi esprimeva un certo divertimento curioso. Ero contenta che Stanley avesse preso un connazionale per fare un lavoro che senza dubbio si sarebbe esteso al di là del solito convenzionale ruolo di autista.

Emilio, un tipo magrolino con i capelli neri e lisci e un viso intelligente e furbo. Lo incontrai la prima volta nel cortile davanti alla casa dei Kubrick a Elstree. Emilio mi sorrise. Parlava italiano con un forte accento della Ciociaria. Al principio era nervoso e guardava con timidezza tutta questa gente che andava e veniva. Era tutto un mondo che girava intorno alla famiglia Kubrick: un misto di famiglia e di industria cinematografica, con l’aggiunta di tre golden retriever e dei nervosissimi e bellissimi gatti. Mi riuscì subito simpatico e gli assicurai che si sarebbe trovato bene in questo ambiente, e anche se gli poteva sembrare caotico era invece amichevole e familiare e niente affatto noioso, ma anzi unico.

E poi c’erano a guidarlo il magnifico e incredibile Andros, l’assistente di S.K., e Margaret, la segretaria di S.K. Dietro il suo aspetto timido e discreto, Emilio aveva il temperamento del corridore. Questo era stato il suo background e questo gli servì a imparare velocemente e abilmente a come giostrarsi in questo nuovo mondo. Con disponibilità e flessibilità entrò presto a far parte del nostro entourage kubrickiano.

Era contento di conoscere un’italiana e gli dissi che Stanley e Christiane Kubrick avevano altri grandi amici italiani, come Riccardo Aragno e Letizia Adam. Spesso cucinavamo dei bei pranzetti italiani e gli indicai dove trovare a Soho i migliori negozi di specialità fresche italiane.

Quando, più in là, si cominciò a lavorare in full pre-production per Barry Lyndon, Emilio non esitò mai né si tirò indietro quando gli chiedevo di allargare i suoi giri per aiutarci a ritirare materiale necessario ai costumi. Anzi, era felice di poter collaborare e soddisfare le varie richieste che gli arrivavano in più del suo lavoro.

Non credo di aver mai visto Emilio di cattivo umore. Sempre molto discreto, non lo sentii mai criticare o lamentarsi ma, al contrario, sempre pronto con humour a svolgere il suo lavoro e a vederne il lato positivo e interessante. Sono ansiosa di leggere le memorie di Emilio. Penso che il desiderio di raccontare le proprie memorie sia un gesto che esprime quanto si tenga a quel tempo passato, e perciò si voglia condividere un po’ di quel sapore con gli altri perché il passato non si perda nel nulla.

Per me, l’amichevole e simpatica presenza di Emilio nella famiglia Kubrick è parte integrante della mia memoria di quei bei tempi. E con gioia sento che la sua voce al telefono non è mai cambiata e ha la stessa tonalità e accento ciociaro di allora.

Milena Canonero